CAPITOLO 3 (1951-1959)

Estratto dal libro di Paolo Popeschich

“Beniamino Massimo, Un pittore romano”

Capitolo Tre 1951-1959 (estratto)



Chiusa la sua prima esperienza con le avanguardie astratte, B.M. continuerà a frequentare alcuni dei suoi protagonisti – come Mino Guerrini che aveva già lasciato la pittura per dedicarsi al giornalismo e al cinema – e altri artisti, tra tutti Mimmo Rotella e l’italoamericano Salvatore Scarpitta, intensificando al contempo la corrispondenza con gli ex allievi della scuola estiva di Hans Hofmann, in particolare con Nat Tate, artista con il quale condivide l’ossessione per la poesia di Hart Crane.

(…)

Lontano dal mondo delle gallerie romane e costantemente ignorato dalle rassegne di arte (molto sofferta sarà l’esclusione alla VI Quadriennale nazionale d’arte di Roma), B.M. trova il suo mercato nelle commissioni della “gente del cinema”: attori, registi, sceneggiator, nonché star come Ingrid Bergman e Antony Quinn che diventeranno i principali soggetti della sua successiva produzione che, dietro una superficie fatta di immagini concrete di forma-colore, non nascondono una tendenza figurativa seppur sempre stilizzata e mai realistica.

Nel 1954 attraversa il suo primo periodo di crisi che lo accompagnerà fino all’incontro con la modella ungherese Edina Roksher, con cui vivrà fino alla fine degli anni sessanta. In questa fase rinuncia completamente alla pittura, focalizzandosi sul lavoro di fotografo che lo impegna sempre di più in viaggi tra Roma, Berlino e Londra. Nella capitale londinese nel 1956 entra in contatto con i rifugiati ungheresi, prendendo le definitive distanze dagli ambienti del partito comunista italiana, dimostrandosi poi più vicino alla sinistra extraparlamentare e ai movimenti maoisti.

Sempre a Londra nel 1959, incontra il suo amico Nat Tate, nel suo unico soggiorno fuori dal territorio statunitense, appena un anno prima dal suo drammatico suicidio che spingerà B.M. a riprendere la sua produzione artistica, nella quale citerà costantemente l’amico scomparso attraverso l’archetipo del ponte, già presente in tutta la produzione dello sfortunato artista statunitense.