CAPITOLO 4 (1959-1968)
Estratto dal libro di Paolo Popeschich
“Beniamino Massimo, Un pittore romano”
Capitolo Quattro (1958-1968)
Tornato stabilmente a Roma, complice
l’esplosione delle pellicole “peplum”, torna a dipingere regolarmente,
riabbracciando una estetica che si ispira sempre più direttamente
all’immaginario cinematografico, affiancando le silhouette dei divi del grande
schermo a elementi dalle réclame dei prodotti di uso comune, avvicinandosi così
alle pratiche coeve del Pop Art britannica
e statunitense.
Questa ricerca lo metterà in
relazione, a partire dagli anni sessanta, con i protagonisti della Scuola di
Piazza del Popolo. Ancora una volta è il mondo del cinema a traghettarlo verso
quello della pittura ed è un altro luogo di ritrovo, il Caffè Rosati di Piazza
del Popolo, dove accanto ad autori come Pier Paolo Pasolini, Franco Monicelli e
Ennio De Concini si riunivano Mario Schifano, Giosetta Fioroni, Tano Festa e Franco Angeli,
i nuovi protagonisti della scuola romana, di una decina di anni più giovani di
B.M. ma con una comune idea di arte, influenzata dalle avanguardie New Dada e
Pop Art.
(…)
Ancora una volta è la fotografia il
biglietto da visita che lo presenta a questa nuova generazione di artisti romani,
che non nascondono un vivo interesse per la tecnologia, per lo “schermo”, per
il fotogramma e per la riproducibilità dell’immagine, sviluppando un intenso
rapporto di scambio di idee, come i primi progetti di Tano Festa, diplomatosi
in fotografia nel 1957, ma anche alcune resistenze, come quelle che gli riserva
da subito Mario Schifano, probabilmente geloso per i suoi contatti con il mondo
del cinema. Ma è lo stesso B.M. a prendere talvolta le distanze dai nuovi
compagni di viaggio, per esempio rimproverando la passione che Franco Angeli
non nascondeva per Alberto Burri, artista per il quale B.M. non celava una
profonda invidia.
(…)
Va ricordato come in questi anni
inizia una copiosa corrispondenza con Don Lorenzo Milani che presto si
trasforma in un vero e proprio rapporto di amichevole collaborazione. Più volte
si reca a Barbiana per condividere con i piccoli ospiti della scuola alcuni
laboratori artistici appositamente ideati per quel difficile contesto.
L’esperienza personale dell’infanzia lo
avvicina con grande empatia a quei ragazzi, le testimonianze di alcuni di essi
lo descrivono come “l’artista gentile” e “un bambino tra i bambini”.
(…)
Nonostante le opportunità di esporre
sono ancora limitate a progetti collettivi, il 1961 si rileva l’anno più prolifico
di tutta la sua produzione, nella quale introduce elementi dell’architettura
urbana capitolina, come per il ciclo basato sulla riproduzione in serie della
silhouette della statua di Giordano Bruno di Campo de Fiori, in composizioni
geometriche e cromatiche sempre diverse basate sulla scomposizione sul piano
della sezione aurea.
Nello stesso anno sperimenta nuove
tecniche miste, inserendo fotografie e ritagli di giornale nelle sue
composizioni su tela o dipingendo direttamente sulle fotografie e colorando i
negativi con tecniche derivanti dal cinema, con un entusiasmo tale che già dal
1963 abbandona per sempre la pittura su tela dedicandosi esclusivamente a
lavori su pellicola, partendo da riprese amatoriali che poi monta e ricolora,
in esperimenti che possono essere considerati esempi video-arte ante litteram.
L’euforia per questa rinascita si
spegne pochi anni più tardi, quando viene nuovamente escluso dalla
partecipazione della IX Quadriennale nazionale d'arte di Roma, episodio che segna l’abbondono di
ogni ambizione di affermarsi nel panorama artistico e a cui seguirà, nel 1967,
lo scioglimento della Scuola, con l’avvicinamento degli artisti di quella scena
verso l’Arte Povera.
Inizia così un secondo periodo di
depressione, durante il quale rinuncia sia all’attività artistica che alla
carriera di fotografo, periodo che culmina con la separazione dalla compagna,
che ritorna a vivere Londra nel 1968.
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Si ritira a Subiaco per una breve
esperienza monastica, durante la quale sperimenta l’affresco e l’arte
dell’iconografia sacra.
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