INTRODUZIONE

 Estratto dal libro di Paolo Popeschich

“Beniamino Massimo, Un pittore romano”

Introduzione (estratto)



Da libraio ho sempre avvertito il dovere di dare nuova vita ai vecchi libri, tesori dimenticati sotto strati di polvere, quindi non mi sono mai sottratto alla chiamata di chi vuole liberarsi di intere biblioteche abbandonate, anche se quasi sempre si rivelano mucchi di vecchie edizioni economiche o di vetuste enciclopedie ingiallite.

Quel tardo pomeriggio di dieci anni da, mentre scendevo le scale di una elegante palazzina dei Parioli, non sapevo però che stavo per imbattermi in qualcosa di più grande, in una storia che aspettava solo di essere raccontata e diventare il soggetto del mio primo libro come autore e editore.

(…)

Luglio 2009, un amico comune – giornalista e speaker radiofonico con il quale condivido la passione per il cinema e l’arte contemporanea – mi mette in contatto con gli eredi di un noto sceneggiatore e regista italiano, intenzionati a liberarsi, prima di partire per le ferie estive, dall’ingombro di vecchie librerie inutilizzate.

(…)

La casa era su due livelli: il piano superiore occupato da una abitazione piena di opere d’arte (fui folgorato da un grande tela di Carla Accardi davanti a una altrettanto imponente opera di Tano Festa) e di cimeli cinematografici (al centro di una parete una bacheca con un premio Oscar incorniciato da centinaia di fotografie di scena:  da Federico Fellini a Pietro Germi, da Roberto Rossellini a Stanley Kubrick, c’erano veramente tutti), mentre il piano interrato era adibito a studio interamente coperto di libri e di un copioso archivio. Superato l’inziale stupore, il mio sogno a occhi aperti finì appena appresi che ero stato contattato per liberare il contenuto della sottostante cantina, dove erano stipati all’inverosimile vecchi raccoglitori di documenti contabili e pacchi di riviste.

Nonostante il caldo e l’evidente inutilità di quella traversata Ostia-Parioli che avevo appena fatto, non mi rifiutai di svuotare quella cantina, rassegnato a destinare il contenuto al macero, ma ritornato in negozio, mentre scaricavo il furgone nel magazzino, mi imbattei in un voluminoso pacco avvolto in carta bruna, a cui prima non avevo fatto caso. Sul pacco una sola scritta a mano: “da conservare per i 25 anni successivi”.

La carta bruna svelava al suo interno un secondo pacco di carta ingiallita legata da uno spago e una lettera battuta a macchina, datata 4 giugno 1970, indirizzata “all’amico Quinto”, nella quale l’autore, che si firmava M.B., con tono cordiale, chiedeva di custodire il contenuto del pacco fino al suo ritorno, previsto per l’anno successivo, altrimenti, nel caso non fosse tornato e non avesse più dato notizie di sé nei 25 anni successivi, di aprirlo e di utilizzarne il contenuto come meglio credeva.

Il pacco al suo interno conservava due portafogli con molti manoscritti e della corrispondenza datata tra il 1947 e il 1959, quattro taccuini pieni di disegni, un grosso portafogli pieno di ritagli di giornali dagli anni quaranta agli anni sessanta, infine una serie di piccoli trattati, lettere, pagine staccate, disegni e fotografie e soprattutto negativi di fotografie, gran parte relative a film in costume. Sopra questo mucchio di cose si trovava un foglio dove era stata vergata una sorta di disposizione testamentaria manoscritta:

“Nel caso della mia morte o della totale privazione della mia libertà, il possessore di questi manoscritti, ove voglia pubblicarli, deve studiarli a fondo, ciò perché io mi trovai, a suo tempo, soggetto a influenze rivoluzionarie e potrebbero quindi sorgere rilevanti opposizioni alla forma con cui difendo l’arte che ora rappresento. Questo è quanto si deve osservare. Roma, 30 maggio 1970, firmato Beniamino Massimo”

(…)

Ho passato quindi questi ultimi dieci anni a leggere, studiare e decifrare questo materiale, gran parte inutilizzabile viste le cattive condizioni di conservazione, ricomponendo – grazie anche ai riscontri con archivi pubblici e privati – la vita di Beniamino Massimo, misconosciuto artista che, suo malgrado, ha attraversato venti tra gli anni più vivaci per le avanguardie capitoline del ventesimo secolo.

(…)